Vip a sorpresa

Domenica scorsa. Come tutte le domeniche, ho il turno pomeridiano di lavoro. Attacco prima delle sedici e quasi da subito c’è una discreta affluenza di gente alla sala da thè. Alle 20 suonate io e E., il ragazzo tuttofare che in certi momenti è davvero un aiuto provvidenziale per me  chiudiamo e cominciamo a riordinare, dopo aver spento tutte le luci principali. Da basso la voce del baristone tuona “Riaccendete la luce!!!” e subito sentiamo i passi di qualcuno sulle scale che portano alla sala. Entrano tre nuovi clienti ai quali TEORICAMENTE, il F.d.C. avrebbe dovuto dire che il locale era chiuso. Io ed E. ci guardiamo con un’aria sconsolata negli occhi e un istinto omicida nelle menti. Scruto di sottecchi i tre avventori che ignari stanno sedendosi ad un tavolino e capisco il perché di tanto riguardo: uno dei tre è un VIP, nientequaquadimeno che Fabrizio Maturani. CHIIII?!? diranno subito i miei piccoli lettori. Ok, traduco: Martufello, definito sul suo Official web site “er comico burino che te fa ride ‘n casino”. Alzo gli occhi al cielo, per niente turbata alla vista della star del Bagaglino e sussurro a E.: “Ci mancava Martufello, ci mancava…”. Ma noblesse oblige, anzi, travail oblige. E. si avvicina e borbotta un “Cosa prendete?”. Intervengo io, un pelino più diplomatica, e porgo i menù delle cioccolate e delle tisane. I tre astanti sono sorridenti, molto gentili, non se la tirano e io mi ammorbidisco, anche se non dò segno di aver riconosciuto Martufello (che poi sti VIP, se li riconosci si scocciano per la privacy, se non li riconosci si scocciano lo stesso…). I due sconosciuti prendono due cioccolate, il comico chiede un thè, perché quella sera deve lavorare e la cioccolata è troppo pesante, e si affida al mio gusto per il tipo di miscela. Gli porto un thè nero alla vaniglia che sembra gradire, poi torno al mio posto, dietro il banco, in osservazione con il fido E. a fianco. Il terzetto si trattiene un po’ al tavolino, chiacchierando di macchine e moto ma la loro permanenza termina presto. Il signor Maturani, distinto d’aspetto e impeccabile nell’eloquio tanto quanto è cafone e trasandato il personaggio che interpreta, si avvicina al banco per pagare e io lo avviso che il pagamento è da effettuare alla cassa del bar a pianoterra. Lui rimette via i soldi (nemmeno lui lascia le mance, sappiatelo), fa per allonatanarsi, poi ci ripensa, torna sui suoi passi e porge la mano prima a me poi a E., salutandoci con estrema cortesia. Gli sorrido e gli chiedo:”Ora va al lavoro?”. “Sì” risponde lui con naturalezza. “Allora, come si dice?” e lui “In bocca al lupo va bene” e io “In bocca al lupo, o merda!, come dite nel vostro gergo”. Ma lui si sta già allontanando, forse distratto, forse un po’ perplesso. Penso automaticamente a tutti i clienti bene del bar, che mi vedono spessissimo da quattro anni ma che se mi incontrano per strada, senza grembiulino, nemmeno mi salutano; che mi chiamano “cava” con la erre arrotata alla gianniagnelli perché non sanno il mio nome e che mi danno del tu come se fosse normale dare del tu ad una cameriera, sia pure ultraquarantenne e madre di famiglia. Chapeau a Martufello, alla sua gentilezza, alla cortesia dei suoi amici. Tutte cose normali, che in certi contesti assumono un sapore di eccezionalità.

Mentre riordiniamo (stavolta per davvero) la sala, E. mi guarda in tralice, anche lui piacevolmente colpito da quel riguardo, magari solo formale, ma innegabile: “Hai visto…ci ha dato la mano…” e io, ridacchiando “Sì sì, n’altro po’ ci chiedeva pure l’autografo!”.

P.S. battuta del F.d.C. in seguito al mio resoconto dell’accaduto. “Ma tu non lo sai che quando è sceso, Martufello mi ha chiesto con aria stupita ‘Ma quella, era per caso ALIANORAH?!’. 😉

O.T. la foto del template è di Pino. “E chi è Pino?” Chi è Pino?! CHI E’ PINOOOO?!?!? Pino è quello bello, ma così bello che quando George Clooney va dal chirurgo estetico gli mostra una sua foto e poi gli dice: “Io voglio diventare così!”. Ciao Pino!

Nuove strane ricerche

Si dice che tutte le strade portino a Roma ma io sono sicura che nessuna strada che conduce all’Eterna possa essere bislacca e tortuosa come quelle che portano al mio blog. Ormai ho preso l’abitudine di controllare le chiavi di ricerca attraverso le quali anonimi marinai attraccano al porto non tanto sicuro dove vivono le chiacchiere di Alianorah e nonostante abbia già confezionato due post in materia, non riesco a fare a meno di riportare le combinazioni di parole più incredibili che ho trovato. Di alcune non riesco a trovare spiegazione per cui, l’unica spiegazione possibile è che, grazie ad Internet, moltissime delle strade che un tempo portavano a Roma, ora portano qui.

La mummia ha paura del gatto (ne sono sollevata! Ho sei gatti e dunque mi posso ritenere protetta da eventuali e temibili attacchi di mummie)

Sentirsi derealizzata (per sentirsi derealizzate, occorre essersi sentite realizzate almeno per qualche istante, e questo è già un gran risultato!)

Sono scuro mi scambiano per un negro (e questo era anche il problema di Michael Jackson)

Molte grazie. A lei. (ma si figuri…Non c’è di che!)

Iva Zanicchi grassa (La Zanicchi potrebbe sentirsi ferita, sotto tutta quella ciccia che la protegge…e poi oggi non si dice più “grassa”. Si dice “diversamente magra”. E’ più “politically correct”)

Vorrei un biondo Scarlett Johansson (io vorrei tutto di Scarlett Johansson, mica solo il colore dei capelli)

Ciondolo iniziali Gregoraci Briatore (non ho parole…questa è da veri pervertiti)

Il mio ex aveva un pisellino troppo piccolo (e tutte comprendiamo come mai ora sia il tuo EX)

I cani scorreggiano? (e perché non dovrebbero?)

I cartoni che le tette non mancano (e abbasta co’ sta storia dei cartoni e delle tette! E soprattutto, si impari a scrivere in un italiano decente!)

Qual è il problema di Cesara Buonamici (se ne ha uno solo può ritenersi anche fortunata)

Incrementare le mance al bar (chiunque lo scopra, me lo venga a dire, please!)

Gallina che vive senza testa per 18 anni (io sono quasi 42 anni che vivo senza testa, non vedo quale sia il busillis…)

Come far diventare il cubo in 4 facciate (misteri della geometria)

Bastoncini Findus ricette varie (ma perché…esistono anche delle ricette che contemplano l’uso dei bastoncini FIndus?)

E’ sposato ma vuole uscire con me perchè (dunque, piccola, ascoltami bene: ci sono le api e i fiori…e poi ci sono le donne sceme…)

Dado Kubrick soluzione (aspetto qualcuno che cerchi la soluzione del dado di Knorr)

La barzellette dal teme: il prurito (io non ne conosco, però intuisco che l’autore della ricerca è di origine pugliese)

Oscar e Terence (balsfemìa!!! OSCAR E ANDRE’; CANDY E TERENCE… Qui manca una cultura di base su anime e manga!!!)

Nuove espressioni

Parlare male di “Uomini e donne” è ormai come sparare sulla Croce Rossa, ma a volte non posso evitare di riportare alcune perle che mi trovo ad ascoltare mentre la seguo più o meno distrattamente.

Oggi è stata una puntata davvero straordineeeeria, che ha visto la rivisitazione di due noti proverbi: “quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba” e “portare l’acqua al proprio mulino”.

Nel primo caso, l’uva acerba è diventata “marcia”. Certo che a ben pensarci c’è anche una logica: sono secoli, millenni forse, che quel benedetto grappolo d’uva è appeso lì, troppo in alto perché la povera volpe riesca ad agguantarlo. Nel corso di cotanto tempo, gli acini acerbi saranno maturati, e poi marciti. Con un clima più secco e una maggiore costanza di sole, si sarebbe ottenuta l’uva passa, ma che ci si può fare? E in conclusione, acerba o marcia che sia, quell’uva è comunque immangiabile, il senso non cambia e la volpe può anche mettersi il cuore in pace, o farsi furba e imparare a mangiare le fragole, che crescono rasoterra.

Il secondo proverbio modificato, vede una tizia che “butta” l’acqua al proprio mulino. Questo mi ha stupito un po’, perché si parla di aumenti dei costi del servizio idrico; di rischi di desertificazione; di siccità. Una che butta l’acqua è proprio una sprecona priva di senso civico. A meno che non la butti perché ormai è inquinata e sarebbe nocivo adoperarla.

Nel corso della puntata ho poi sentito ripetere il binomio “palesemente evidente”, che è un “palesemente evidente” pleonasmo, visto che le due parole significano praticamente la stessa cosa, ma venivano proclamate con la sicurezza di un esperto dell’Accademia della Crusca (ma forse era crusca prodotta in un mulino dove l’acqua viene buttata).

Si parlava poi di “baci a stampo”. Io questa cosa dei baci a stampo l’ho imparata da poco, nel senso che per me un bacio sulla bocca è sempre stato con la lingua o senza, detto proprio in modo pedestre. Il termine a stampo mi fa venire in mente un impiegato postale che timbra i francobolli sulle lettere e sulle cartoline, ma è solo perché non sono più tanto gggiòvane.

E infine, l’espressione “ci sta”. Ai miei tempi, “ci sta” era riferito a una ragazza (più raramente a un ragazzo) ben disposta ad una relazione sentimentale o meglio sessuale. “Quella ci sta”, era una frase ricorrente e non sempre lusinghiera che passava nelle conversazioni tra maschietti, veniva detta in tono ammiccante e un po’ volgare e accompagnata da sguardi d’intesa. Ora “ci sta” vuol dire “è comprensibile”, “lo posso capire”. “Ci sta che il mio fidanzato si sia trombato la mia migliore amica, in fondo può succedere”. “Ci sta che io sia andata in discoteca mentre il mio ragazzo era all’ospedale operato di appendicite; mica sono una suora!”. Questi sono esempi inventati da me, ma non molto lontani dalla realtà, almeno da una certa realtà.

E allora divento gggiòvane anche io e per farmi capire dagli adolescenti, comincio a buttare l’acqua al mio mulino e in modo palesemente evidente proclamo che quando qualcuno che mi piace mi rifiuterà, non dirò mai che in fondo non mi piaceva poi così tanto; perché io so distinguere l’uva acerba da quella marcia, ma soprattutto se uno è fico, rimane fico, anche se non arrivo a prenderlo 🙂

Diamoci un taglio!

Dieci giorni fa ho tagliato i capelli. Non tantissimo ma il taglio è stato dato: alle doppie punte, all’eccessiva lunghezza, alla frangia. Ora sembro più giovane e più paffuta e non è che mi servisse tanto nessuna delle due cose. Però la frangia mi copre la fronte e la ruga malefica, almeno un po’. Quindi se sembro più giovane, devo dire che me la sono anche cercata. In quanto ai chili acquistati nell’ultimo anno, non mi sconvolgono. Ero secca come un pioppo…no, i pioppi sono alti. Riffo. Ero secca come una canna…no, la canna è flessuosa, oppure si fuma e fa un certo effetto. Ero secca come…insomma, ero secca. Troppo. Niente sedere, gambe ossute, solo il petto mi dava un’aria morbida. Ora sono morbida in modo più uniforme, bracciotte comprese che cominciano a somigliare a quelle di Popeye. Non che stia lì a misurarmi le circonferenze. Ci pensa il FdC a dirmi che di settimana in settimana lievitano, con le sue affettuose battutine.

Si dice che le donne che cambiano pettinatura in modo visibile diano dei segnali, che manifestino il loro desiderio di cambiamento interiore o di stile di vita. Personalmente avevo solo voglia di vedere una faccia un po’ diversa allo specchio ma devo ammettere che sarebbe bello se i colpi di forbice che hanno portato via ciocche di capelli mechati e sfibrati avessero tagliato anche qualche ramo secco che ancora ciondola qua e là dall’albero della mia vita. Sì, sarebbe bello e anche troppo facile e soprattutto economico. Taglio, colore, messa in piega ed eliminazione ristagni invadenti o inutili orpelli necrotizzati, tutto per la modica cifra di euro 50, che non son bruscolini, ma li spenderei volentieri una tantum (o anche un paio di volte all’anno, cioè il numero di volte che vado a “rifarmi la testa” dal coiffeur) per un po’ di rinnovamento generale. Invece poi la mia vita è sempre quella, con i problemi di sempre, le persone di ogni giorno, i soliti scazzi, gli inutili batticuori tardissimoadolescenziali, le solite persone, alcune superflue altre indispensabili soprattutto al mio cuore. Con Lollo che non fa NULLA di quel che gli chiedo e poi si lamenta perché non sono contenta di quello che fa (o che NON fa). Con mia madre che mi ripete dieci volte la stessa cosa, sempre come se fosse una novità. Con gli amici che chiamano per dire “ci vediamo” e poi non ci vediamo mai e con quelli con cui poi ci vediamo ed è sempre una sorpresa che accada veramente. Con i miei sogni strambi in cui sono un vecchio stregone ed esorcizzo gatti neri facendoli diventare bianchi e rossi; e neonati invasati e riottosi mentre mio padre filosofeggia “Eh, si sa, questi bambini piccoli, quando sono posseduti, dànno un bel daffare”. Con gli altri miei sogni strambi, quelli ad occhi aperti, che non si realizzano ma è bello sognarli…Pensandoci bene, sarà pure un po’ banale, ma non è un brutto vivere. E 50 euro sono davvero troppo pochi per migliorare le cose 🙂 .

Un po’ di malizia

Stasera parlavo di sesso con un amico. Un quasi amico. Diciamo un conoscente và, visto che nonostante una certa confidenza sappiamo abbastanza poco l’uno dell’altra. Più precisamente, io so pochissimo di lui, mentre lui di me sa molto di più perché, per usare un eufemismo, non mi tengo un cecio in bocca. Ciò non significa che io non sia capace di mantenere un segreto, come questo tipo sostiene; ho ricevuto confidenze da un sacco di persone, e confidenze sono rimaste. Mi sono stati rivelati segreti che potrebbero distruggere reputazioni e onori, e le reputazioni e gli onori sono ancora intonsi e cristallini agli occhi di terzi. Io parlo molto di me, non ho grandi remore a raccontare le mie vicende, sono la prima a ironizzare sulle cose che mi succedono e a raccontare eventi del mio passato, ma so tacere quando è il caso. Questo non è il caso, anche se manterrò il più stretto riserbo sull’identità del mio amico.

Ma tornando a bomba, non so come, con questo soggetto si parlava appunto di sesso e di prestazioni. Così, mi è uscito di chiedergli “Ma tu, nel sesso, quanto duri?”. Silenzio, traccheggiamento (si dice traccheggiamento?), tentativi di circonlocuzioni e di deragliamento (non sviamento, non rende l’idea) del discorso. Ridacchio, ripeto la domanda: “Insomma, non sai dirmi quanto duri?”. “Mah, sai, dipende dai momenti, dalle circostanze…” e io, ormai con voce tremula “Sì sì, dipende se usi la mano destra oppure la sinistra…”.

Sinceramente, io la trovo una battuta geniale, ma lui non ha riso mica…però nemmeno ha obiettato. E lì mi ha fatto tenerezza e credo di averlo considerato un po’ più amico di cinque minuti prima 🙂

Come in uno specchio

Sono andata a un funerale. E’ morto il padre di un mio amico degli anni verdi, uno di quelli con cui ho condiviso birra e feste dell’Unità, concerti dei Nomadi, serate al pub e primi baci. E’ passato tanto tempo da allora; per un po’, dopo turbolente vicende, non ci salutavamo quasi più. Poi, crescendo, c’è stato un riavvicinamento, una collaborazione per un progetto culturale, una rinnovata manifestazione di stima e simpatia reciproca e il tutto ha fatto sì che lui potesse essere ricollocato al suo giusto posto di primo amore nel passato e di caro, seppur poco frequentato, amico nel presente. Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata così tanta…e tante persone sono passate nelle nostre vite. Mi sono sposata, ho avuto un figlio, mi sono separata e ora lavoro in un paese abbastanza distante dal mio da far sì che sia diventata quasi straniera in terra natia. Lui anche si è sposato, è da poco padre, lavora in città. Ci si vede poco o niente, anche se di tanto in tanto si chiede l’uno dell’altra a comuni amici. Le occasioni di incrociarsi sono praticamente nulle e quando accadono, a volte non sono liete. Così, pochi giorni fa, l’ho rivisto, nella piazzetta della chiesa nella frazioncina dove vivono i suoi, sotto il cielo capriccioso di un autunno che sembrava già inverno; qualche goccia di pioggia, qualche raggio di sole, un incredibile triplo arcobaleno che sfregiava il grigio azzurro sopra le teste di persone addolorate, infreddolite, distratte, partecipi, comunque presenti.

C’erano tutti in quella piazzetta, tutti gli amici dei miei vent’anni. Tutti con vent’anni in più sulla pelle, fra i capelli, nei ventri prominenti, nei petti non più sodi. Tanti di loro non li vedevo da molto tempo; li guardavo e mi dicevo “Mio Dio…ma è proprio lui? E’ proprio lei? Così grigio, così ingrassata…” Con i sorrisi che ricordavo e che ora sembravano quasi smorfie. Perché ai funerali, quando il protagonista non è un congiunto, si sorride, è inutile negarlo. Si sorride, ci si saluta con baci, abbracci e pacche sulle spalle; ci si scambiano parole di circostanza e frasi assurde (“sembra brutto dirlo, ma mi fa piacere rivederti!”; “ma quanto tempo!”; “speriamo di incontrarci di nuovo in una più piacevole occasione”) e grottescamente capita di fare tuffi in un passato più o meno prossimo, di rispolverare ricordi e di studiarsi un po’. Così rivedi il ragazzo che ti piaceva un tempo, ma che era troppo piccolo, perché tu avevi vent’anni e lui diciotto. E ora tu hai quarant’anni e lui trentotto, è stempiato, ha il doppio mento e la pancetta; e non sembra più così tanto più piccolo di te. E poi vedi quella che si è sposata che era una ragazzetta e sembrava già una donna di mezza età e, incredibile, ora che è una donna di mezza età sembra molto più giovane e fresca delle coetanee che in gioventù le davano dei punti in bellezza e sensualità. Ti chiedi se anche loro hanno di te la stessa impressione che hai tu di loro; ti sbirci nel finestrino di un auto per vedere se hai la loro stessa aria un po’ stanca e strapazzata. Il tutto sentendoti anche un po’ in colpa, perché non sei lì ad analizzare o ad essere vivisezionata; stai onorando qualcuno che se n’è andato; stai partecipando al dolore di un amico. Poi però ti accorgi, da poche battute gettate lì quasi per caso, che non sei mica l’unica…l’amica che ti dice “ma sei pallida!”; il tizio che ti guarda sorpreso ed esclama “sei irriconoscibile” (e non si capisce se è un complimento o un insulto); il tipo che ti guarda ad occhi sgranati “proprio l’altro giorno mi chiedevo se vivi ancora qui!”. Più o meno tutti si pensa la stessa cosa, ci si chiede cosa ne è stato dei ragazzi che eravamo, si guarda la facciata della chiesetta e si conclude che tutta la vita passa di lì, per le stradine di un paese con una piazzetta piccola piccola che tutti attraversano, in lungo e in largo, in passeggino; caracollando sulle gambe cicciotte; schiamazzando dietro a un pallone; vantandosi con le amiche; corteggiando e facendosi corteggiare; con la luna storta per un brutto voto; innamorati; tristi; allegri; figli; genitori; nonni… per ritrovarsi poi, alla fine, tutti nello stesso posto, attori e spettatori; complici e nemici; a salutare qualcuno, con un arrivederci. O con un addio.

E uno…e due…e tre…aggiudicata?

FdC ha preso a dedicarsi ad un nuovo, esilarante passatempo: cercarmi un fidanzato. Lui nega, ma i suoi magheggi in tema sono evidenti, le sue intenzioni chiarissime. Quello che non è chiaro è perché lo faccia, ma ho il vago sospetto che sia un’attività atta a farmi imbufalire, cosa che lo diverte moltissimo.

Ci sono due personaggi nel variegato amalgama dei miei spasimanti da bar (e con spasimanti da bar intendo quelle persone che non hanno un cavolo da fare durante il tempo libero e si mettono a bighellonare in giro e a tacchinare chiunque capiti loro a tiro), di cui non vi ho parlato, perché si distinguono per caratteristiche, dagli altri.

Uno è Luca (nome fittizio), piccolo imprenditore (attività fittizia), un bell’uomo di circa 50 anni, sposato con una scopa secca (brutta, nera, legnosa). Gravita spesso nell’orbita del bar, anche per motivi professionali e ha una spiccata simpatia per me. Dichiarata. Esplicita. Respinta. Cioè, la simpatia è anche ricambiata, perché è un tipo veramente garbato, gentile e mai invadente, ma, come l’altro giorno gli ho detto chiaramente, tra me e lui ci sono due ostacoli. Il primo è che sono innamorata di un altro (che poi sia vero o no, a lui non è dato saperlo) e il secondo è che è sposato. Luca ci è rimasto male e ancora non riesco a capire perché. Ah sì…pensandoci bene, lui mi ha detto che per una storia vera sarebbe pronto a lasciare la moglie…Sto ancora a ride 🙂 .

Il secondo tipo è Ezio. Età indefinita, colorito vivace, libero professionista, con una storia tormentata alle spalle che lo ha reso un po’ infantile. Tanto per dire, mi ha fatto comunicare da un comune amico che ha una cotta per me. Come a 15 anni, per intenderci. E come a 15 anni gli ho fatto rispondere che sono innamorata di un altro e che si mettesse il cuore in pace. Ma lui intigna, dice che non desisterà. Lo dice, ma non direttamente a me, ma sempre tramite l’ambasciatore. L’unica volta che si è sbilanciato quel tanto da far capire un vago interesse nei miei confronti è stato quando, rispondendo ad una battuta del FdC (una battuta ironica, ça va sans dire), disse che sarebbe stato onorato di uscire con me.

Ma torniamo al mio bossolo (piccolo boss) che mi vuol trovare marito. Qualche giorno fa, disse al timido Ezio che per lui (non alto) ci vorrebbe proprio una donna bassina, magari bionda…e mi guardava con intenzione. Al che Ezio si è fatto ancora più rosso di com’è di solito e si è dileguato nel nulla.

Domenica scorsa, mentre come spesso accade io e il FdC si celiava con motti di spirito e insulti vari, nonché con finti tentativi di seduzione reciproca, è arrivato il discreto Luca e ha assistito con divertimento alla schermaglia. E FdC ha colto la palla al balzo per dirgli che il mio intento è di ingelosirlo usando lui come “uomo dello schermo”. E ha aggiunto, mentendo sapendo di mentire, che quando ho gli spettatori faccio la civetta con lui, mentre quando siamo soli lo respingo con sdegno e quindi era chiaro che in quel momento il pesce che avrebbe dovuto abboccare al mio amo era il buon Luca.

Domenica scorsa, però, dopo questa ennesima battuta all’asta del FdC (sponsorizzazione gratuita di una cameriera usata in buono stato, senza garanzia ma a mutuo agevolato), mi è saltata la mosca al naso e gli ho intimato di smetterla di tentare di vendermi al miglior o anche peggior offerente, altrimenti gli farò male in posti e in modi che neppure sospetta possano esistere. Lui ha scosso la testa con aria disgustata, rimproverandomi per averlo minacciato e frainteso e per avere uno scarso senso dell’umorismo. Io poi non riesco a tenere il muso, e va tutto a finire a tarallucci e vino ma quello che lui non ha ben capito è che la deve finire di fare ‘sti teatrini (che in definitiva, mortificano più gli altri che la sottoscritta, visto che ho una faccia di corno) e che la mia non era una minaccia e nemmeno un avvertimento. Era una promessa.

Risceneggiamoli! (seconda puntata)

Torno oggi all’abbandonata rubrica che prevede una rivisitazione di film famosi il cui finale non mi ha soddisfatta. La netiquette mi impone di avvertire che questo post contiene spoiler.

“Vacanze romane”. Ecco, un film delizioso, un vero gioiellino, con l’inimitabile Audrey Hepburn e il fascinoso Gregory Peck protagonisti di un’impossibile storia d’amore nella Roma degli anni ’50. Il pasticcio sta proprio nella frase “impossibile storia d’amore”. I film devono far evadere dalla realtà; i film d’amore devono far sognare; i film d’amore che finiscono a schifìo non fanno sognare e non fanno evadere dalla realtà, perché nella realtà l’amore non trionfa quasi mai. E allora?!? E se volevamo un film neorealista ci vedevamo “Ladri di biciclette”, non “Vacanze romane”! Che poi, questo film, ha una trama del tutto improbabile e cade nel “realismo” proprio alla fine. Insomma, una principessa straniera in visita ufficiale a Roma scappa dalla sua prigione dorata per assaggiare la vita vera; incontra un tipo che fa finta di non riconoscerla e invece GUARDA CASO è un giornalista squattrinato in cerca di scoop; lui la intorta ben bene, ma rimane a sua volta intortato perché, RIGUARDA CASO, si innamora perdutamente di lei. Una trama ai confini della realtà, tanto che uno pensa: ecco, e come in tutte le storie assurde, ora vivranno felici e contenti. E invece no. Lei cede alla ragion di stato, torna a indossare la corona e lui rinuncia a lei e pure allo scoop. E io mi intristisco, perché dentro di me LO SO che questa è la fine migliore, quella che non poteva essere diversa (altrimenti mi vedevo “Innamorato pazzo” con Celentano), però mi chiedo: ma poi lei che fa? Si sposa col principe racchio del reame vicino? E lui? Diventa un vecchio e disincantato giornalista beone e pure un po’ porco? Meglio non chiederselo e, per continuare il sogno, pensare che forse, qualche anno dopo, loro due…chissà…

Altro film che adoro, ma la cui fine mi urta profondamente è “L’esercito delle 12 scimmie”. Non so in quanti di voi lo conoscono, perché non è proprio stato un successone al botteghino, ma io lo trovo veramente appassionante. Una storia in equilibrio tra presente e futuro, con qualche scivolone nel melodramma, qualche ruzzolone nel grottesco e un po’ di passi nel romantismo. La trama è ricca di paradossi temporali, che, detto in poche parole, sono quelle vicende del presente che si modificano nel momento in cui qualcosa cambia nel passato; ambaradam che ovviamente stravolgerà del tutto anche il futuro. Insomma, immaginando il tempo come un fiume che scorre, facciamo conto di poter risalire dietro l’ultima ansa, dare una ritoccatina agli eventi e controllare poi com’è cambiato il presente in base alle nostre azioni. Un tema masticato e rimasticato, lo ammetto, da “Ritorno al futuro” a “Sliding doors”, passando per “Terminator”, ma ai miei occhi sempre affascinante. Ne “L’esercito”  in più ci sono un bravissimo Bruce Willis e un fantastico Brad Pitt; una storia d’amore appassionante; un giallo da risolvere e un mistero da svelare. Solo che, dopo due ore di avanti e ‘ndré nel tempo e di colpi di scena…il finale lascia un amaro in bocca quasi disperato. Quasi, perché poi uno spiraglio di possibilità si apre proprio nell’ultima scena, ma…troppo poco per me! Insomma, se dopo quella corsa disperata all’aeroporto; dopo quell’ultimo inseguimento per fermare il terrorista; dopo quel grido di avvertimento che la bella protagonista lancia al suo amato…Se dopo tutto questo, qualcuno, in quel momento, avesse deciso di tornare qualche minuto indietro per cambiare il futuro quel tanto che basta per modificare il finale…ecco, ci sarebbe proprio stato bene! (se non avete visto il film, non avrete capito niente, ma spero di aver stuzzicato la vostra curiosità).

E per concludere “Love story”. Sarò breve: lei doveva morire molto prima, perché mi è antipatica. E pure lui non mi piaceva granché, quindi, potevano far morire tutti e due sotto una valanga all’inizio del film, quando si rotolano nella neve. Almeno sarebbero congelati insieme e noi ci saremmo risparmiati due ore di lacrimosa pizza.


N.B. quando ho visto “Love Story” avevo quattro anni e rimasi turbata dal bacio che i protagonisti si scambiano proprio mentre giocano in mezzo alla neve. Per me fu una scena sconvolgente, credo di poter far risalire a quel momento il mio primo, del tutto non riconosciuto, turbamento sessuale. Ora, credo che il fatto che la scoperta dell’eros, sebbene in modo inconscio, sia avvenuta attraverso un siffatto film, abbia marchiato a fuoco tutta la mia vita erotico/sentimentale. Questa cosa al mio strizza non l’ho mai detta, ma suppongo che se l’avessi fatto la mia terapia avrebbe avuto una svolta epocale permettendo a lui di individuare e a me di capire alcuni clamorosi irrisolti della mia esistenza di femmina adulta 🙂 .

Continua…?

Figurine

La Figlia della Capa è alla cassa del bar, quando si avvicina un cliente (carino) per pagare nonsocosa. Osservo la scena del cliente (carino, ma imbranato), che apre il portafogli e fa scivolare fuori carte, scontrini, la tessera del codice fiscale. Faticosamente trova i soldi, mentre io sbircio il tesserino cercando di indovinare, a mo’ di quiz, il nome del pischello.

Cliente: (prendendo i soldi) ecco, finalmente sono riuscito a pagare!

Alianorah: e io forse ho scoperto come ti chiami!

C.: (mi guarda perplesso)

A.: (indica il codice fiscale) c’è scritto “TLL”, ti chiami Antonello?

C.: TLL? (controlla il tesserino e me lo mostra)…non TLL, ma TTL!

A.: ah, cavoli…ho letto male! Allora se è TTL ti puoi chiamare…ci sono! ATTILA!

C.: (allontandosi un po’ divertito e un po’ offeso)… ATTILIO, non ATTILA.

A.: (a bassa voce, mentre la F.d.C. sghignazza) beh, però ci ho quasi preso…

P.S. Vengo ora a sapere che la ministro Carfagna, dopo aver letto ne “Sui campi di Marengo” di Carducci, il verso che recita “sui campi di Marengo batte la luna“, ha esortato le forze dell’ordine di Marengo a comminare alla luna una sanzione di Euri 200 e diffidarla dall’esercizio dell’illecita professione. 😉

Facce di cubo

Qualche settimana fa, inaspettatamente, Lollo mi ha chiesto di comprargli il “Cubo di Rubik“, che non spiego cos’è perché lo sapranno anche gli acari della polvere. Tra “Fifa 2020 Odissea nel Campionato”, “L’impresa del cavaliere della rete metallica”, “Assassin te e tuo nonno” e vari videogames di concezione assurda e di contenuto discutibile, è apparso dunque questo oggetto colorato, trionfo del manualismo e vero must degli anni ’80. E avreste dovuto vedere il Lollo che, saggiamente unendo abilità pratica e aiuto mediatico, spulciava “You Tube” e quant’altro in cerca di filmati che mostrassero le tecniche più agili per arrivare a ricomporre le facciate del cubo. Un pomeriggio ci perse qualcosa come cinque ore ed era sulla buona strada per arrivare al completamento. Senonché, in un momento di stasi in cui il cubo giaceva abbandonato sul tavolo del soggiorno, è arrivato mio padre che al grido di “Ma che è sto coso?!”, si è messo a smucinarlo e lo ha scomposto tutto di nuovo. Ho faticosamente impedito che il pargolo fracassasse il coso sui cosi del nonno e ho pregato il bambino di 12 anni di mettersi da parte i suoi giochi invece di lasciarli in giro; e il bambino di 74 di farsi qualche volta una manciatina di cavoli suoi.

E così Lollo ha ricominciato, con meno entusiasmo, a ricomporre le facce del cubo, con l’aria di un Sisifo che comincia per l’ennesima volta l’eterna fatica con il dubbio dell’inutilità dell’impresa.

Ieri è venuto a scrocc ho offerto un caffè al Vicino di Casa, M. Esso è entrato in soggiorno mentre io andavo a mettere sul fuoco la moka. Questione di un paio di minuti: l’ho raggiunto e…indovinate? L’ho beccato con cubo in mano!

A.: oh no!

M.: (trasalendo) che c’è!?

A.: non mi dire che lo hai girato!

M.: (con l’aria del bimbo sorpreso con le dita nel vasetto di marmellata) eh…sì…ma solo cinque-sei volte!

A.: adesso chi lo sente Lollo. Già il nonno gliel’aveva combinata!

M.: (vilmente) digli che è stato tuo padre pure stavolta…

Avverto sadicamente Lollo che arriva infuriato.

M.: (mentendo spudoratamente) ma tanto…che ci vuole! Te lo rimetto subito com’era prima, anzi, te lo completo proprio! Questo (aggiunge con aria saccente) è un gioco dei miei tempi. Si chiama “IL DADO DI CUBIC”!!! (  😦 )

Dopo vani tentativi, M. sbotta:

M.: sto coso non funziona! Dovete comprare quello originale, questo è tarocco!

A.:per la cronaca, quello E’ l’originale, con tanto di marchio CE, comprato in un negozio di giocattoli e non da un ambulante.

M.: allora è rotto! Guarda…se giro questo, quest’altro non gira e allora come si fa a comporre i colori?

(per lui l’ideale sarebbe stato che OGNI CUBETTO girasse autonomamente).

Gli levo il gioco dalle mani. Lollo contempla, truce, lo scempio perpetrato al suo lavoro.

M.: e’ che io non ci sono portato. E’ come per l’elettronica, per il computer…ho una specie di idiosincrasia che…

Lollo furibondo lo interrompe:

L.: tu non ha un’idiosincrasia! Tu sei IDIOTA e basta!

Lo so, avrei dovuto rimproverarlo per la mancanza di rispetto ad un adulto. Ma mi è venuto da ridere… 🙂