Briciole autunnali

Nuove chiavi di ricerca al profumo di mosto e funghi:

cosa è una ruga: ma beata te che ancora non lo hai scoperto!

sesso con mia moglie: come mi tromba!: e che ci stai a fare su internet?

pasta ai cirrucchi: non so nemmeno cosa siano i cirrucchi, figurati se so come ci si fa la pasta insieme…

tagliare i capelli a posseduti: posseduti da chi? dallo spirito di Sansone?

le pornostar usano la manicure??: non per lavoro, credo.

sursum fa bene alla prostata: infatti non si dice più “sursum corda” ma “sursum c***o”

nei cartoni non fanno vedere il pene: e tanto sarebbe di cartone, che ci faresti?

auanasgheps esiste: pure Auanagana.

non darla a un uomo subito: vedi successiva.

ogni cosa a suo tempo: vedi precedente.

fare sesso usando un materasso: può accadere all’uomo se le due precedenti chiavi di ricerca non si combinano felicemente.

le confessioni di cesara buonamici: uh, chissà come sono interessanti!

mio marito pisello piccolo: per questo il sesso prima delle nozze è altamente consigliato!

sono verdi o meno gli occhi di gabriel garko: io su questo arcano quesito ci farei una tesi di laurea…

maalox gatto: hai il gatto con la gastrite?

tua mamma come sta? l’accento ci va o no: o no.

ingenuamente mi sono fatta sfilare le mutande: se non eri d’accordo, più che ingenua direi cretina.

che cosa è la saccardosi: semplicemente “non è”.

mi assaliscono: i dubbi sul tuo italiano, spero.

limone dentro wino toglie alcol: lo sanno anche i tordi che il limone toglie tutto l’alcol, soprattutto al wino!

mi piace la fi*a di mia nuora: se te l’ha fatta vedere spontaneamente, poveraccio tuo figlio…

racconti ero la fi*a di mia nuora: quindi automaticamente piaci al tipo qui sopra. E comunque, hai bisogno di uno parecchio bravo.

mosè capelli bianchi spiegazione: forse perché era vecchio?

Due di due

Sottotitoli alla pagina 777 di Televideo nell’ultima puntata de “L’ispettore Coliandro”*. Un tizio italiano cattivo punta una pistola alla tempia di un tizio marocchino buono e gli dice in dialetto  (meneghino, ticinese o forse anche bolognese? poiché la fiction è ambientata a Bologna): “Schiscio, sta’ schiscio. Rompa no i bal” (“Calmo, sta calmo. Non rompere le palle”). Il sottotitolo per non udenti, evidente a cura di un non padano o di un distratto cronico, anziché riportare la traduzione della frase detta in vernacolo, recita “parla in arabo”. Chiederò ad uno dei clienti marocchini del bar se “Rompa no i bal” significa qualcosa in arabo. Ma mi sa tanto di no.

Servizio al TGCom sui supplizi a cui sono sottoposti i bimbi dei VIP a causa dei capricci dei loro montati genitori. C’è la foto della piccola Suri (figlia di Tom Cruise e Katie Holmes), tre anni,che indossa scarpe con i tacchi. Poi la giornalista snocciola le torture a cui sarebbero sottoposti i figli di Madonna, tra cui dieta macrobiotica e niente TV. Lollo capta en passant la notizia ed esclama “Cavoli, non mi lamento più! Meglio una mamma isterica e un padre grassoccio che essere figli di quelli lì!”. Ora so con precisione come considera i suoi genitori e non ne sono propriamente soddisfatta.

* prima che qualcuno mi chieda come mai metto i sottotitoli: NO, non sono (ancora) diventata sorda, ma non sapete quanto chiacchiera mio figlio, soprattutto quando è il mio momento di seguire qualcosa in televisione. Rimedio come posso.

Rivelazione

Minichattata su Facciadalibro.

Gregoriomagno*: ciao cara! (prima volta che lo sentivo). Sono appena tornato da Corso Como. Cheduepalle. Tu?

Alianorah: io no.

G.: ricordami…di dove sei?

A.: ciociara.

G.: ah, ora capisco. Se eri di qui, avresti capito.

A.: cosa avrei capito? Perché ti sei fatto due palle a Corso Como?

G.: no, ma ti avrei invitata a prendere un aperitivo domani (a Corso Como, suppongo, per farmi “capire” meglio chissà cosa)

A.: e potevo portare anche mio figlio e mio marito?

G.: basta, sei un essere inutile. Addio! (e mi ha seduta stante drammaticamente eliminata dalla sua lista di amici)

Ma che mi chiedo ancora a fare il senso della mia vita?  Ci ha pensato Gregoriomagno a svelarlo!

* pseudonimo. Il suo nome vero è anche peggiore.

Il senso del “mio” mondo.

Grazie ai “Negramaro” è stata rispolverata di recente una canzone di Domenico Modugno, “Meraviglioso” che, deduco, sia stata scritta ispirandosi ad un vecchio film del geniale Frank Capra, “La vita è meravigliosa”, datato 1946.

In questa pellicola il protagonista è un tipico americano medio che si è fatto da sé, tale George Bailey (interpretato da un grande James Stewart). La sera della Vigilia di Natale, disperato per una serie di problemi apparentemente irrisolvibili, si affaccia da un ponte e, con la tentazione fortissima di buttarsi giù, si pone la fatidica domanda “Che senso ha la mia vita?” a cui segue l’inevitabile constatazione “Sarebbe meglio se non fossi mai nato”. Detto fatto, arriva un angelo, vestito da passante, che esaudisce il suo desiderio e gli mostra, in quella notte fantastica, come sarebbe stato il mondo se George non fosse mai venuto alla luce. E così il brav’uomo scopre che senza di lui, il fratello che aveva salvato da annegamento, sarebbe morto; che sua moglie, da cui ha avuto tre figli, sarebbe diventata altrimenti un’acida zitella paranoica; che il farmacista da cui aveva prestato servizio da ragazzo e a cui aveva evitato di consegnare una medicina pericolosa, sarebbe finito in galera per omicidio ed in seguito diventato un ubriacone. Alla fine il poveretto, sconvolto da tanto sfacelo, prega l’angelo di Seconda Classe, Clarence (che ha bisogno di salvare una vita umana per venire promosso nella categoria superiore) di riportarlo alla vita, o meglio, al mondo in cui lui è nato realmente e ha realmente vissuto.

Il film finisce, chiaramente, a tarallucci e vino, con i problemi che si risolvono tutti e la famiglia riunita intorno all’albero mentre un campanellino che suona testimonia che anche Clarence ha avuto la sua promozione.

Al di là del miele di cui siffatta storia è abbondantemente spalmata (e voglio precisare che io ADORO questo film, e mi sciolgo in lacrime ogni volta che lo vedo), mi trovo spesso ad immedesimarmi nel protagonista e a chiedermi come sarebbe stato il mondo senza di me. E la risposta è, fatta eccezione per la presenza di Lollo, unico essere vivente che esiste solo perché io esisto: “il mondo senza di me sarebbe stato tale e quale”. Insomma, io non ho fatto niente di memorabile; non ho salvato vite; non sono stata indispensabile a nessuno; non ho inventato niente di utile (e nemmeno di inutile); non faccio un lavoro che aiuta gli altri. Insomma, non lascio traccia.

Questo, lo ammetto, si può dire di me come di milioni di altre persone. Fatta eccezione per i grandi della storia, in campo medico, artistico, scientifico ecc ecc., la maggioranza dell’umanità è pressoché “inutile”, più o meno.

Poi, pensandoci meglio, considero che il mio ragionamento è limitato solo alla sfera del ponderabile, dell’accaduto, del vissuto. Ma se immagino che ogni nostra azione sia solo l’anello di una lunga catena di comportamenti nostri e altrui, tutto si sovverte, potenzialmente ma si sovverte. E così, chi può dire se il fatto che Tizio, fermandosi a parlare con me abbia ritardato il momento di attraversare la strada, evitando il camion che cinque minuti prima lo avrebbe travolto? O che Sempronia, in un momento di estrema tristezza, mi abbia chiamata e io l’abbia consolata al punto da farla uscire di casa favorendo così l’incontro con l’uomo della sua vita, che altrimenti non avrebbe conosciuto? Insomma, per farla breve, noi non possiamo sapere come sarebbe stato il mondo senza di noi. Avrebbe potuto essere migliore, uguale, addirittura peggiore! Immaginando l’umanità come un insieme di esseri in stretta relazione tra loro, si può facilmente capire che nessuno è inutile e che se il mondo è quel che è, nel bene e nel male, ognuno di noi deve prendersene il merito. E la colpa.

P.S. Commento di Lollo dopo la lettura del post: “Brava mammuccia, vedi che qualcosa di intelligente la sai dire anche tu, non solo io?”.

Lui, la domanda filosofica alla base del mio ragionamento, non se l’è mai posta, evidentemente. E, se continua così, non se la porrà mai :).

1232194155015_vitameravigliosa

Autunno nuovo, fictions vecchie.

Inizia la nuova stagione televisiva, e Rai e Mediaset fanno a gara per conquistare il miglior prime time sfoderando le loro armi. Che poi non siano esattamente armi nuove di zecca, sembra evidente dai numeri che seguono i titoli delle fiction: dopo “Don Babbeo” c’è un bel 7, dopo “Distretto di polizia” troviamo un 8 e attendiamo “RIS 6” (non vedo l’ora che arrivi il RIS 8, per sentire come lo chiameranno) e Un medico in famiglia 6. In mezzo a tutti questi numeri medio alti, riponevo fiducia in un prodotto seminuovo, “L’onore e il rispetto 2”. Insomma, forse essendo una seconda stagione, qualche sorpresa poteva anche riservarla. Lo vidi, e mal me ne incolse. Sì, ammetto che Gabriel Garko è sempre un bel vedere, e lo sarebbe anche se non gli mettessero ogni volta un paio di chili di cerone  in faccia; in seconda battuta, ammetto che Gabriel Garko è sempre un bel vedere, e lo sarebbe…ah no, questo l’ho già detto. Sì, ecco…Gabriel Garko e la sua faccia ceronata è proprio l’unica cosa che si salva di tutta la fiction. Forse avrei dovuto tenere in considerazione, prima di avventurarmi per questi sentieri mafiosi che si snodano negli anni ’60 (un misto tra “Il Padrino” e “Raccontami”), che la medesima è stata ideata e scritta nientepopodimenoché da Teodosio Losito, mirabile creatore dell’ineffabile “Il bello delle donne”. La regia di Salvatore Samperi è scontata e senza fantasia, e mi fa rimpiangere (si fa per dire) le tette ammiccanti e i reggicalze di Laura Antonelli e addirittura i turbamenti adolescenziali di Alessandro Momo. Per tacere dei dialoghi, in cui parole come “malasanità”, “top-secret” e “privacy” mi fanno sorgere, spontanea, la domanda se Teodosio & company siano consci che negli anni ’60 questi termini non rietravano propriamente nel lessico quotidiano.

Un ultimo accento sulla scena finale della prima puntata: una macchina esce di strada (una strada di campagna) e dopo due minuti netti arriva una volante della polizia a sirene spiegate. E’ chiaro, siamo in Svizzera, i soccorsi sono tempestivi. I due poliziotti scendono dalla macchina, mentre arriva anche un’altra auto. Il conducente di quest’ultima scende, raggiunge la macchina nella scarpata, scopre che la moglie è stata catapultata sfondando il parabrezza e giace tra i cespugli. Lui la raggiunge, urla il suo nome ripetutamente; lei, grondante sangue come un quarto di bue appena macellato, gli dice di controllare il fantolino, che era in macchina con lei. Lui molla la moglie, recupera la culla, scopre che il figlio è vivo, riprende la moglie morente in grembo,  urla ancora un paio di volte il suo nome piangendo. Lei, con l’ultimo, o il penultimo, non so, respiro, fa promettere al marito che il figlio non diventerà mai un mafioso; poi glielo fa giurare. Poi muore. Lui, straziato, giura e rigiura, poi riprende a urlare a squarciagola il suo nome. Tutto questo dura dai cinque ai sette minuti di riprese…e io, ecco, io mi chiedo…ma la polizia che era arrivata contemporaneamente al neo-vedovo, che cacchio di fine ha fatto?

Di tutti i colori…

E dunque le Frecce Tricolori hanno sorvolato il cielo libico esibendosi nelle tradizionali acrobazie che le hanno rese famose in tutto il mondo, in occasione dell’anniversario della rivoluzione che portò Gheddafi al potere. In un primo momento, l’esibizione sembrava dover essere annullata perché Gheddafi stesso aveva espresso la volontà che l’unico colore a dover fare da scia ai nostri aerei fosse il verde, colore simbolo della Libia. Al netto rifiuto del comandante della Pattuglia, il raìs ha dovuto accettare che lo spettacolo si concludesse, come suo solito, con le fumate tricolori.

E per fortuna non si è verificato quanto sagacemente preconizzato dal F.d.C.:

“Magari Gheddafi ha accettato il tricolore italiano nel cielo libico, perché al momento giusto abbatterà gli aerei che emettono il fumo rosso e quello bianco, così rimarrà solo il verde, proprio come vuole lui!”.