Se questo è un film

Ieri ho visto un film fantastico, Graffiante desiderio, datato 1990 e qualcosa, classificato thriller erotico con nientepopodimeno che Andrea Roncato, Serena Grandi, Vittoria Belvedere e il celeberrimo Ron Nummi.
Purtroppissimo ho perso l’inizio, ma c’è questo giovane belloccio, Luigi, che sta con una tipa ma arriva Sonia, sua cugina, che lo seduce, confermando il famoso adagio “non c’è cosa più divina…”. Intanto cicciano fuori Andrea Roncato e la Serenona, datore di lavoro di Luigi e consorte. Andrea senza Gigi, è un imprenditore e offre un lavoro altamente qualificato a Sonia, che non sa far nulla ma è bona. E qui si capisce come mai a me nessuno ha mai offerto un lavoro altamente qualificato.
Com’è, come non è, Luigi e Sonia finiscono su una spiaggia di scambisti e lei lo convince a far sesso con una tizia che sembra un trans mentre lei si apparta con il relativo compagno. Luigi, con molto disgusto, si tromba il simil trans, ma quando torna da Sonia, lei lo mena tantissimo e lo riempie di graffi (da qui il titolo, suppongo), perché lui è andato con un’altra, dimostrandosi un porco, mentre lei voleva solo mettere alla prova la sua fedeltà. Vabbè.
Come se non fosse successo nulla, tornano a casa insieme. Il giorno dopo Sonia va da Andrea senza Gigi, e viene assunta, dopo una ripassatina di cui Luigi sembra non accorgersi. Contestualmente, Andrea chiede a Luigi di portare Serena ad un evento. Ma l’evento salta, Luigi e Serena cenano da soli, lei non porta le mutande, cerca di sedurlo mangiando della macedonia, lui resiste e torna dalla cugina/fidanzata, che dorme. Luigi è un po’ su di giri, prova a fare un’avance a Sonia che lo respinge male perché ha sonno (giustamente, stava dormendo), quindi lui va a cercare sul vocabolario la parola “schizofrenia”, e capisce qualcosa. Mah. Poi lei si sveglia, lui ha fame e mangia della carne avanzata per cena.
Intanto la sua ex fidanzata è scomparsa.
Ora non ricordo benissimo l’appassionante susseguirsi degli eventi, ma a un certo punto Luigi scopre un diario di Sonia, con delle formule magiche, degli appunti e un sacco di insulti. Senza un filo logico (apparente, e qui sta il genio dello sceneggiatore), si ritrova ad un’importante riunione di lavoro con dei giapponesi. Ma, colpo di scena, sulla proposta di contratto qualcuno ha scritto la frase “i giapponesi cagano giallo”. Purtroppo l’affare salta, perché i giapponesi, oltre ad evacuare in strani modi, si rivelano anche permalosi. Luigi viene licenziato e scopre che la colpevole è Sonia. Lei cerca di farsi perdonare mettendogli la lingua in bocca, ma lui niente…e la lascia.
Indagando con perizia, trova il cadavere della sua ex, in un congelatore in soffitta, e filmini di copule tra Sonia e Andrea, sempre senza Gigi, perché il triangolo no.
Mentre sta valutando se è il caso di fare qualcosa di più concreto che bamboleggiare aggiustandosi il ciuffo biondo, riceve una randellata in testa e si ritrova legato davanti a Sonia in reggicalze, che un po’ lo provoca, un po’ lo riempie di calci nelle palle. La fanciulla, si scopre aver ucciso i propri genitori, l’ex ragazza di Luigi e chissà chi altro, perché a 12 anni era stata stuprata da uno zio. Non si capisce se zio di lei, di Luigi o di tutti e due. Boh.
Arriva in extremis la polizia, chiamata da Serena Grandi, ma si accende una colluttazione che si conclude con Sonia che cade dal balcone.
Drammatico primo piano di un Luigi tumefatto e stravolto.
Fine.
Non capisco perché su Wikipedia sia stato definito il più brutto film italiano di sempre.
Proprio non capisco.

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Aspettative deluse

Non esco quasi mai in giro per il paese in cui vivo, per cui le rare volte che succede, mi capita di incontrare persone che non vedo da mesi, a volte da anni. Quasi sempre la domanda che mi viene rivolta è “ma tu non abiti più qui, vero?”. Ma ieri c’è stata una variazione sul tema.

Dopo aver trascorso almeno tre quarti d’ora all’ufficio postale a sfrangere gli zebedei all’impiegato Loreto, gentilissimo, a cui ho chiesto: di attivare il nuovo postamat; di prelevare del denaro; di pagare con quel denaro una ricarica postepay, di attivarmi una nuova postepay…insomma, dopo essermi beccata, verosimilmente, una pacca di “iotimaledico” dal giovanotto, attraverso la piazza del paese per andare a ripescare la mia macchina vecchia parcheggiata nella zona vecchia. E sottolineo vecchia, non antica. Perché ogni cosa ha un suo perché. Mentre procedo a passo di marcia, vedo da lontano una sagoma ben nota e facilmente riconoscibile: si tratta di A., la prima vera cotta della mia vita con cui un sacco di tempo fa ebbi una breve storia dal sapore fortemente adolescenziale, nonostante io avessi vent’anni e lui venticinque. Insomma, vedo ‘sto qui che è ancora lontanuccio, penso di tirare dritto perché ho un po’ di fretta e di male ai piedi, ma lui accelera e alla fine ci incrociamo. Saluti, baci, convenevoli. I nostri convenevoli sono sempre del tipo: “ehi! da quanto tempo! ne poteva passare ancora un po!”…oppure “ma com’è che ti chiami?”…o ancora “ammazza come stai vestito!” ,”ma come sei in menopausa, ho amiche sessantenni che ancora non ci sono entrate!” e cose del genere. Mentre ci insultavamo allegramente, una macchina passa strombazzando: è il mio vicino di casa M., amico di A.. Non gli sembra vero di rompere le scatole a entrambi contemporaneamente e si ferma, parcheggia alla bell’e meglio e si avvicina. Alla sua domanda su cosa stessimo facendo (in mezzo alla piazza, alle cinque di pomeriggio, non è difficile da capire, ma M. è M.), il mio adorabile ex del paleolitico risponde…”Mah…stavo andando allo studio quando ho visto in lontananza una donna con una gonna svolazzante, con uno spacco che mostrave le gambe e una scollatura che fa vedere le tette e ho pensato…ma fammi un po’ vedere chi è. Poi mi quando mi sono avvicinato l’ho riconosciuta…ah, peccato, è SOLO Maria Carla! “.

 

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Darwin e gli Harmony (seconda parte)

Ma i tempi cambiano, e con i tempi si modificano anche le storie offerte da questi piccoli capolavori della letteratura internazionale (che comunque io non giudico inferiori alle sfumature colorate di recente successo, né ai moccianesimi o a best sellers che hanno scalato le classifiche negli ultimi decenni). Vediamo come si sono evoluti i principali ingredienti dei romanzi Harmony.

Lui: ricco (a volte con un passato da povero) imprenditore, faccendiere, scrittore, artista, alto, bello, o in alternativa, troppo maschio per essere definito classicamente bello. E fin qui ho fatto copia incolla. Spesso problematico, ma cortese, tutt’al più scontrosetto. Talvolta non è nemmeno così ricco…anzi, per colpa di qualche imbroglio o di una ex moglie avida, si ammazza di lavoro per risalire la china. Inutile dire che ci riesce sempre. Ha origini poverissime o ricchissime, un forte senso dell’onestà, rispetta le donne ma se le tromba pure. Protagonista compresa. Cade, come il suo avo, in fraintendimenti che mettono a rischio l’amore che prova per la tipa, ma alla fine con buonsenso e comprensione, riesce a sciogliere ogni dubbio. Non soffre di gelosia retroattiva, anche se un certo senso di disistima gli fa pensare di non essere degno di essere felice in amore e di non meritarsi quella grande gnocca che i destino gli ha fatto incontrare (o incontrare di nuovo). La maggior parte delle volte è scapolo, ma non è raro che sia vedovo con qualche figlio a carico, maschietto simpaticissimo o femminuccia cacacazzi, of course. La differenza di età con la sua futura compagna non è eccessiva, non tanto perché sono cambiati gli standard per lui (che ha comunque tra i 35 e i 40 anni, in media), quanto perché si è alzato il limite dell’età di lei, e più avanti si scoprirà perché. La sua nazionalità è sempre più di frequente straniera, rispetto alle autrici, s’intende. Così nascono le serie nella serie: il ciclo dei tycoon che sono spesso italiani (ma dove stanno in Italia tutti sti fighi straricchi?), greci (armatori per lo più) ma soprattutto arabi. Gli arabi sono tutti principi, sceicchi, di origine berbera, con palazzi da mille e una notte. L’ostacolo della religione diversa si supera con due escamotage: o lui è profondamente laico, oppure ha un padre o una madre occidentali da cui ha ereditato il credo. Come che sia, sti sceicchi hanno tutti studiato in Inghilterra o negli USA, quindi conoscono e rispettano la cultura del “fiore del deserto” che incontrano rocambolescamente e di cui si innamorano, manco a dirlo, “dal primo momento”.

Lei: per lo più bella, non in senso canonico, quanto interessante, affascinante, sexy anche in modo inconsapevole. Ha un carattere forte, deciso, passionale, di sovente ha una piccola impresa (cake design, wedding planner e menate simili) appartiene al ceto medio, ha un’età che vira ai trenta, spesso è laureata o comunque ha una professione che la soddisfa. Non è QUASI MAI vergine, di frequente è vedova, con una pipinara di figli noiosissimi che ha avuto dal primo marito, morto in genere di malattia (se era buono) o di incidente (se era cattivo). Va da sé che il precedente matrimonio, sia che fosse un’unione riuscita con un bravo giovinotto, sia che fosse un disastro con un mezzo delinquente traditore, aveva una grossa carenza: il sesso. Sì, perché queste donne di nuova generazione, dinamiche, indipendenti, mature, soffrono tutte di una qualche forma di anorgasmia che guarisce immediatamente la prima volta che si fanno una mezza pomiciata con il tipo che incontrano (o incontrano di nuovo). E pim, pam, pem…a volte non si arriva alla pagina 20 che già hanno avuto orgasmi multipli provocati da stimolazioni che non farebbero arrossire nemmeno Candy Candy. Una precisazione: a differenza dei romanzi di una volta, in cui i protagonisti si incontravano quasi sempre per la prima volta, nei nuovi Harmony lui e lei spesso si conoscono già e hanno già avuto una storia finita male. Capita così che lei, nata ai bordi di periferia, se ne sia andata in città dove hastudiatofattocarrieratrovatomaritopartoritodueotrefigli. E un giorno torna al paesello, descritto sempre come la cittadina semiabbandonata di “Cars, motori ruggenti” e ritrova lui. Qualche scaramuccia iniziale, poi finiscono a letto, poi si fanno gli scrupoli, poi torna qualcuno dal passato, poi finiscono a letto di nuovo e così via fino a quando decidono che sono fatti proprio l’uno per l’altra.

L’altra/ L’altro: non esistono quasi più. A volte compare qualche ex, ma le vicende dei coprotagonisti non vertono più sul tema del triangolo. Spesso i comprimari saranno i protagonisti del romanzo successivo, per cui hanno comunque valenze positive.

Il punto di vista: in molti dei romanzi moderni, il punto di vista non è più quello esclusivamente della protagonista. Spesso i capitoli si sviuppano con soggettive alternate di modo che viene meno l’effetto sorpresa in base al quale solo alla fine si scopriva che pure lui era già innamorato di lei. E sai che scoop! Comunque in questo si nota una sorta di “parità” tra i sessi: anche l’uomo ha dei sentimenti, anche esagerati. Il che rende alcune storie più di fantascienza che d’amore.

La dinamica di coppia: fondamentalmente si tende anche qui alla parità. La donna non è più la vergine sprovveduta, ha un vissuto importante, esperienze anche dolorose alle spalle che l’hanno fortificata. Lui non è più il maschio dominatore con tendenze sadiche e anche nei casi in cui sia ancora innegabilmente ricco, potente, virile, non strapazza più le donne disprezzandole maschilisticamente, anzi, nutre profonda stima nei loro confronti, anche se non sempre la dimostra in modo adeguato. Venuta meno la componente “io Tarzan tu Jane” i conflitti vertono su differenze ideologiche, fantasmi del passato, incomprensioni caratteriali, malintesi creati ad arte per allungare il brodo.

Il sesso: di tutto e di più. Anche se gli Harmony classici non possono dirsi romanzi erotici, l’erotismo c’è, seppure soft. Dalla metà degli anni ’90 in poi, la verginità ha smesso di essere un valore aggiunto, anzi…è gradita un po’ di esperienza sul campo non solo da parte del maschio. Il petting la fa da padrone fin dalle prime pagine, si evolve rapidamente in rapporto completo e non si disdegnano descrizioni più o meno velate di sesso orale da entrambe le parti. Mentre in passato la donna restava imbambolata e passiva, con tempeste interiori di cui non mostrava nemmeno un refolo in superficie, ora tende ad essere moderatamente assatanata e spesso non priva di iniziativa. I termini esplicito/volgari sono banditi. Il pisello è definito “proprompente virilità” o più raramente “membro possente”. Si sprecano aggettivi e avverbi che sottolineano la potenza ormonale di questi rocchisiffredi in incognita. La patata è detta “centro della femminilità”, spesso definito “pulsante”. Un pulsante che lui preme spesso e volentieri, anche se in quei casi il premio se lo becca lei. “Orgasmo” e “clitoride” non sono più parole tabù, ma vengono usati con parsimonia. Naturalmente, la differenza la fa sempre e comunque l’amore.

Le eccezioni: non esistendo più limiti, non hanno più ragion d’esistere le eccezioni. A volte si torna all’imbranata deficiente e all’arrogante brutalone, ma pena lo scatenarsi delle donne troppo malate di femminismo da prendere queste storie per quel che sono (storie) e anche per non fomentare un certo ritorno al gusto del sadomaso più morale che fisico, si tende ad evitare tuffi nel passato. Anche nei casi in cui la protagonista appare un concentrato di dolcezza e di bontà, non capita più che si faccia mettere i piedi in testa, anzi, spesso è lei che con le affilatissime armi della gentilezza, fa a striscioline sottili il masculo.

Il peggiore:  impossibile dirlo, per me. Mentre prima ero accanita lettrice nonché acquirente degli Harmony rosa ora li leggo a tempo persissimo e solo se me li prestano, per cui non posso stilare classifiche né attribuire il trofeo a nessun titolo in particolare. Diciamo, in generale, che c’è di peggio. Ma anche di molto, molto meglio.

I must: i già nominati romanzi ambientati nel deserto, quelli in cui lei si innamora del suo capo e quelli la cui storia si sviluppa nel periodo natalizio. O sabbia, o scrivania, o palle. O tutto insieme.

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Darwin e gli Harmony (prima parte)

Ogni cosa subisce una trasformazione. E questo ce lo insegna la fisica. Molte cose subiscono un’involuzione. E questo ce lo insegna la vita. Ma anche le tette. Alcune cose subiscono un”evoluzione. E questo ce lo insegnano Darwin e i libri Harmony (i riferimenti sono alla serie Harmony Rosa). Vediamo in che modo.

Gli Harmony ieri:

Lui: ricco (a volte con un passato da povero) imprenditore, faccendiere, scrittore, artista, alto, bello, o in alternativa, troppo maschio per essere definito classicamente bello. Tenebroso dal fisico prestante. Nelle storie più sofferte ha un difetto fisico, preferibilmente la cecità (e ritorna Jane Eyre), a volte la zoppìa. La guarigione, in questi casi, è frequente ma non garantita, ma ciò non cambia di una virgola il suo fascino magnetico e predatore. Preferibilmente moro con gli occhi grigi, naso aquilino, mento volitivo, labbra sottili un po’ crudeli, mascella squadrata. Peloso, vagamente truzzo, con fascino latino anche se è nato in Norvegia. Ma non è mai nato in Norvegia in quanto è spesso americano o inglese. Talvolta spagnolo o messicano o rom. Raramente di altre etnie e/o nazionalità. Ha come minimo 10 anni più di lei, E’ SEMPRE arrogante, molto intelligente, astuto e capace di leggere nel pensiero di quella scema che diventerà l’amore della sua vita, tranne per il fatto che fino all’ultima pagina non capisce che lei lo ama fin dalla prima volta che si sono visti. E’ un concentrato di virilità, ha una sensualità esplosiva, un passato pieno di amanti favolose ma è sessualmente trattenuto con la scema di cui sopra. La rispetta, ma solo nella misura in cui non se la porta a letto. Per il resto la umilia, la sbeffeggia, la bacia con passione ma poi sogghigna cinicamente palesando indifferenza. Solo alla fine si scopre che anche lui la ama dal primo momento in cui l’ha vista, ma poiché in passato è stato A) tradito da una zoccola che incidentalmente aveva sposato B) umiliato da una zoccola sposata con un altro C) deluso da tutte le donne che erano solo interessate ai suoi soldi quindi erano zoccole D) ingannato da una che era tale e quale alla scema ma in realtà era una zoccola… dunque per uno a caso di questi motivi, non è mai riuscito a fidarsi della protagonista.

Lei: bellissima o molto di rado stile Jane Eyre, quindi di fondo cessa ma con vivida bellezza interiore. Nei casi in cui è cessa, ha una femminilità sottile che sboccia quando incontra lui (detta altrimenti: voglia di pisello). E’ nella stragrande maggioranza dei casi vergine, povera (a volte con un passato da ricca), assolutamente soggiogata dalla schiacciante mascolinità del brutalone che la rimbambisce al primo sguardo. Succube, debole, con un passato da orfana maltrattata, da cenerentola vituperata o da ereditiera viziata che si è trovata sul lastrico dall’oggi al domani. Ha un fisico snello e flessuoso, vita sottile, seni piccoli ma sodi, capelli lunghi quasi sempre biondi. E’ SEMPRE nativa del Regno Unito o degli USA. Ha avuto al massimo qualche filarino e talmente inesperta che per lei il bacio alla francese è quello con la erre moscia. Appena scopre quanto è piacevole, diventa automaticamente zoccola inside, ma nasconde con pudore i suoi istinti ferini nel timore che lui la giudichi male. Il lato oscuro del suo carattere si manifesta a circa dieci pagine dalla fine quando, stanca di essere trattata come la scema che è, sparisce dalla vita del tipo non lasciando tracce. Solo nel rush finale, quando lui si prostra ai suoi piedi quasi in lacrime dichiarando di amarla e con il brillocco pronto da infilarle al dito, lei magnanimamente lo perdona. E poi gliela dà, ma questo si sa ma non si dice.

L’altra: è perfida, malvagia, ninfomane, falsa come giuda, sexy all’inverosimile, veste abiti stretch, tacchi alti, si trucca pesantemente, ha i capelli neri o rossi e non è MAI vergine. In una parola è zoccola.

L’altro: non c’è quasi mai. Quando c’è, è il tipico ragazzo della porta accanto, morto di seghe (sottinteso), piuttosto timido, imbranato, povero, racchio o efebico. Quasi sempre è innamorato della scema che lo friendzona spietatamente. In sporadici casi si rivela avere disturbi psichici, manie, un doppio volto, un carattere terribile. Quasi sempre scompare nel nulla, sconfitto. In una parola è uno sfigato.

Il punto di vista: quasi sempre ogni vicenda si sviluppa dal punto di vista di lei. Chi legge il romanzo sa fin dall’inizio vita, morte e miracoli della protagonista. Le sue emozioni, i suoi palpiti, vengono minuziosamente descritti e sviscerati mentre lui rimane una figura misteriosa, dei cui sentimenti non si sa nulla. Questo permette un’identificazione perfetta con la donna e causa pesante frustrazione e irritazione verso il maschio, di cui si subisce però anche, masochisticamente, il fascino.

La dinamica di coppia: lui domina lei per 140 pagine. Nelle restanti cinque si scoprono tutti gli altarini già delineati nei profili su riportati. Lui non è cattivo. Lo sembra perché ha molto sofferto. Lei non è scema. Lo sembra perché lui fa il cattivo. Lui non è arrogante. Lo sembra perché non vuole mostrare la propria fragilità. Lei non è debole. Lo sembra perché lui fa l’arrogante. Lei lo sorprende in mille atteggiamenti compromettenti con l’altra, che spesso è una ex amante, e solo dopo mille peripezie si scopre che sono stati tutti grossi equivoci (la tipa vede la zoccola che esce in piena notte dalla sua camera da letto nuda? sì, ma si saprà poi che lui non c’era! la tipa vede la zoccola che si china a baciarlo appassionatamente sulle labbra mentre è steso sul divano? sì, ma infine si svelerà che lui era privo di sensi; ecc ecc.). Lui è sicuro che lei sia troppo pura per volere uno tanto più vecchio e pieno di amarezza e trova mille prove di questa sua convinzione. Un calvario.

Il sesso: praticamente assente (o presente solo in modo pudìco se i due per qualche strano motivo si sposano prima della fine della storia) la copulazione completa. Verso la fine degli anni ottanta a volte ci si spinge al petting.

Le eccezioni: in qualche romanzo lei incontra lui cinque o sei anni dopo averlo conosciuto e aver tentato di sedurlo provocandone l’ostracismo. In quel lasso di tempo lei resta vergine, lo continua ad amare e teme la sua vendetta. Lui diventa ricco, bono e spietato al pari del conte di Montecristo. Il finale non cambia: anche lui l’ha sempre amata e l’ha già perdonata da tempo, ma non si sa bene perché non glielo fa capire se non in zona cesarini. In rare storie lei ha un carattere volitivo e lui, pur arrogante, è simpatico. Sono gli Harmony Rosa di genere commedia, i più originali se di originalità si può parlare nel campo della letteratura femminile di questo tipo. Qualche volta lei non è vergine, perché vedova (ma il suo matrimonio non è stato felice) oppure perché il tipo tenebroso ha colto il fiore della sua illibatezza sparendo nel nulla subito dopo e facendo la figura del vigliacco. Naturalmente anche per questo alla fine si trova sempre un motivo più che valido e che vede entrambi vittime delle circostanze o di malvagi figuri di contorno.

Il peggiore:  “Amanda al ballo”. Lei è bellissima e scemissima. Lui è bellissimo e cattivissimo. Lei, pur affetta da ninfomania (ma solo con lui!), non gliela dà nemmeno a morire e lo porta a un punto di frustrazione tale che lo porta a dire: ti sposo perché non me la dài ma tanto non ti amerò mai perché l’amore non esiste.  Si sposano, fanno quel che devono fare, lei ha un bambino e lui continua a trattarla come l’ultima delle donne. Finché un giorno non torna a casa e scopre che lei ha preso baracca, burattini vestiti e figlio e se n’è tornata da mammà. Allora impazzisce, corre dalla suocera sbraitando come un ossesso che lei gli appartiene e bla bla. Fin qui tutto normale se non fosse che la deficiente quando vede il marito disperato cade dalle nuvole: le non lo aveva affatto lasciato perché lo ama troppo! Era semplicemente in visita dalla madre (con cui comunque si lamentava perché lui la trattava male). Si viene dunque a sapere che i vestiti erano stati tolti dall’armadio dalla donna di servizio che, stanca di vedere soffrire la decerebrata voleva far credere allo zoticone l’impossibile: che avesse un minimo di cervello. Alla fine, lei, felice e contenta torna con lui alla casa coniugale, lo bacia appassionatamente e gli ripete per la millesima volta “Ti amo”. Al che lui risponde “Anche io. Credo“. Tutto molto cattolico.

 

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Sbriciolando

Riprendiamo con la vecchia rubrica sulle “briciole”, cioè sui termini digitati che hanno guidato gli internauti pollicini fino a questo blog. Dopo due anni, troverò qualcosa di nuovo?

Ciambelle Algida: conosco i biscotti gelato…conosco i cornetti gelato…ma le ciambelle gelato proprio non mi risultano.

Le galline possono mangiare i cornetti: non so. Prova con le ciambelle!

Belle ma con sorpresa: e non credo ci si riferisca alle uova di Pasqua.

George Clooney prognatismo: come ti capisco, amica/o! Anche a me, quando vedo George Clooney, la prima parola che viene in mente è “prognatismo”.

Significato averlo di ciccia e baciarlo di cartone: ehm…uh…eeeh?

raol vova e gay: scritto così, potrebbe anche essere marziano.

Sesso con gallina lei muore: non mi stupisce affatto, poveretta.

Sognare un prendere un bus con briciole di pane per terra: se le briciole sono nel bus, suppongo voglia dire che qualcuno si è mangiato un panino durante il tragitto…

Parole canzone è la cartuccia che non va: dove per cartuccia si intende…?

Video sesso anale con amore e sentimento: sodomizzazione romantica?

Foto nano impiccione: Curiosolo?

Climax ascendente per la mamma: mammina, mammetta, mamma, mammona.

Togliere odore sudore piumino: e lavalo!

Sognare dei kiwi metterli in un sacchetto sognare padre morto che sputa: se i kiwi sono marci, è naturale che sputi, anche dopo morto.

Depilavo paziente intervento pene: dammi una lametta che ti rado il pene…

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Io, come lei.

Fin da quando sono nata tutti hanno detto che assomiglio a mio padre. Mi raccontano che, quando l’ostetrica uscì dalla sala parto e mi mise in braccio alla mia nonna materna, lei mi guardò, sorrise e poi mi “passò”  tra le braccia della consuocera, madre di mio papà, dicendole “Tieni, Maria. E’ “roba” tua”. In effetti, fisicamente, ho ben poco di mia madre. Non ho la sua altezza, né i suoi occhi, che sono azzurri e a pallucca come quelli di papà. Non ho i suoi capelli: lei li aveva lisci e sottili, i miei sono mossi, pesanti e voluminosi. Non ho la sua bocca, né la forma del viso. Lei, seno piccolo e fianchi rotondi. Io, tettona e con il bacino stretto. Nessun colore in comune, forse qualcosa nel tipo di naso, ma nemmeno tanto.

Il carattere poi, non ne parliamo. Lei forte, a tratti dura. Mai un cedimento emotivo, non perché non provi emozioni, ma per una sorta di naturale e schivo riserbo che le impedisce di mostrare debolezza e di trasmettere preoccupazione. Lei, che non ho quasi mai visto piangere, se non di rabbia quando, con l’anca malandata, non riusciva più a fare i lavori di casa con la stessa abilità di prima. Lei, fatalista tendente all’ottimismo. Spietata con le paure degli altri nel tentativo di nascondere il fatto che lei stessa ha paura. Lei che, quando mi sono separata, quando ero ammalata, quando piangevo di dolore e autocommiserazione, mi strapazzava per farmi reagire. Lei, che non ha mai capito che con me la linea dura non funziona, ma continua ad usarla perché è l’unica che conosce. Lei, la sua dedizione alla famiglia, la sua pazienza, la sua testardaggine, la sua superbia, la sua dolcezza, il suo non chiedere mai scusa e il suo non pretendere mai quelle degli altri. La sua incapacità di provare rancore per torti gravi e quella di perdonare sciocchezze. 

Ho quasi cinquant’anni, mio figlio ne ha diciotto e non mi somiglia per niente, se non fisicamente. Non somiglia nemmeno al padre, a volte mi domando da quale strano miscuglio di elementi genetici sia uscito fuori. Ora io sono la mamma: quella che si preoccupa troppo, quella che dice “studia”, quella che parla a sproposito, che strilla, che si incazza e poi si scazza. Sono la mamma ansiosa ma indipendente; timorosa ma permissiva quanto. Insistente e complice, la mamma figa e rompipalle. Completamente diversa, ancora una volta, dalla mia.

Eppure…nei gesti quotidiani, nei modi di dire, nei comportamenti, in una serie di sfumature che vanno al di là del contesto di vita e dell’imprinting, dell’abitudine e dell’involontaria imitazione, io scopro ogni giorno e ogni giorno di più quanto io assomigli a mia madre. Nel rapporto con mio figlio e nel rapporto con lei, che, nella naturale meccanica che fa girare la ruota della vita, subisce sempre più spesso un ribaltamento dei ruoli che mi vede più protettiva nei suoi confronti. Un certo modo di carezzare i capelli, di affacciarmi ad una stanza senza motivo solo per vedere se chi c’è dentro sta lì e sta bene. L’intonazione nella voce nel rivolgere domande o nel porgere risposte. Persino le intuizioni, i pensieri, certi scatti nervosi, la tendenza a mostrare meno i sentimenti per non contagiare il malumore. Se il carattere resta più simile a quello di mio padre, le dinamiche con cui si manifesta si sovrappongono a quelle di mia mamma. A volte persino alcune espressioni del mio volto colte nell’immagine che mi rimanda lo specchio su cui mi soffermo raramente, mi evocano le sue espressioni.

Non mi sento deprivata dalla mia personalità, snaturata nel mio carattere. Sono sempre la stessa, nel bene e nel male, nei pregi e nei difetti, figa e rompipalle. Madre di mio figlio, figlia di mio figlio, figlia di mia madre, madre di mia madre. Da sempre e per sempre io. Io, come lei.

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Una “carica” di affetto

Qualche settimana fa non mi è partita la macchina, perché mi era “partita” la batteria. Non avendo…ehm…liquidità a disposizione, ho rimandato l’acquisto del pezzo nuovo ripiegando su una batteria di fortuna (molto di fortuna, visto che era più stretta e più alta di quella che avrebbe dovuto essere) gentilmente prestata da un amico del mio ex maritozzo.

Ieri l’altro, mi ha chiamata al telefono un amico che definire amico sarebbe come definire appena passabile Brad Pitt, che era al corrente del momentaneo rimpiazzo e, tra una notizia e l’altra, ha chiesto aggiornamento sulla situazione. Aggiornamento che non c’era visto che ero ancora a corto della suddetta liquidità. Insomma, si discorreva del più e del meno, più del meno che del più, quando costui mi fa “Scusa, devo interrompere la telefonata, ti richiamo tra un minuto”. Perplessa e sul punto di dirgli che potevamo sentirci in un altra occasione, magari in un momento in cui non fosse stato in altre faccende affaccendato, sono rimasta lì con il cellulare appeso, perché lui aveva già riattaccato. Dopo pochi secondi mi ha richiamata come promesso. 

“Sei ancora per strada?”

“Sì, sono ferma dove stavo prima, in Via Tal dei Tali”

“Allora, fai una cosa, tanto non sei distante. Vai dall’elettrauto Tal dei Talaltri. C’è la batteria per la tua macchina pronta per essere montata”.

Mi è caduta la mascella per la sorpresa. Ho vagamente protestato, non troppo perché so con certezza che troppe moine lo disturbano e che l’unica cosa che potessi dire per fargli piacere era “Ma tu sei matto!”. Infatti gliel’ho detto e ho aggiunto che accettavo il regalo solo a patto che valesse come dono di Natale/compleanno (che per me, chi mi conosce lo sa, coincidono). Ha borbottato un “sìsìsì va bene, ora vai”. E dunque sono andata dall’elettrauto dove, sopresa!, ho trovato anche lui. Così, terminato il montaggio della batteria sulla mia vecchia carretta, l’ho invitato al bar per offrirgli qualcosa come ringraziamento. Ha accettato e…che ve lo dico a fa’? Ha pagato lui pure lì!

‘nsomma…Brad Pitt è appena passabile e lui è un amico 🙂

BATTERIA HEART

Masterschif

Con l’avvento dei social, si moltiplicano esponenzialmente proliferando come acari su un tappeto polveroso la foto di manicaretti. A volte tratte da siti di cucina, ma il più delle volte risultato delle alacri mani del “postatatore”, primi, secondi, dolci, minestre e papponi occhieggiano da tanti diari raccogliendo plausi e like.

Io no. Cucino in modo mediocre ma probabilmente anche se fossi uno chef pluristellato, qualunque cosa voglia dire, non lo farei. Uniche eccezioni: alcune torte di compleanno che ho fatto per Lollo e, lo dico con orgoglio, pure quelle venute male, perché non volevo (tanto) spararmi le pose quanto festeggiare simbolicamente i genetliaci dell’erede.

Sabato scorso per la prima volta ho fatto i ravioli. Tutti io, dalla pasta al ripieno di ricotta e spinaci. Sono venuti male, nel senso che erano brutti anzichenò, ma ne ero talmente fiera, soprattutto per la fatica spesa, che ho fatto una bella foto del vassoio con su il mio bel chiletto di ravioli sbilenchi. Crudi, perché cotti…non riesco a pubblicare nessuna foto di cibo cotto. Come dice la mia amica Teresa, ogni cibo casalingo, per quanto bello e magari anche buono, in foto dà l’idea del mappazzone informe. So che in molti non condivideranno questa idea, ma concordo con Teresa. Ma torniamo ai ravioli. Ero troppo contenta e ho peccato di orgoglio. E i peccati, come dice Santa Romana Chiesa, si pagano.

Il giorno dopo, mi alzo pimpante pregustando il figurone che le mie creature faranno a tavola, ma…Horribile visu! In modo decisamente maldestro, anziché lasciarli belli sparsi sul vassoio, li avevo incautamente sovrapposti e, vedendo che erano già belli asciutti, li avevo infilati in frigo per non fare inacidire il ripieno. Ma la ricotta ha un umidità retroattiva. Nel senso che il raviolo asciutto verrà nuovamente bagnato, nel tempo, dall’infingarda ricotta, che ammollerà schifosamente la pasta all’uovo, determinando il famigerato “effetto colla”.

Per farla breve: i miei ravioloni si erano penosamente appiccicati l’un l’altro, come cozze agli scogli. C’è voluta la manodiddio per riuscire a salvarne (deformandoli nell’azione di scollamento) almeno tre porzioni, mentre altri hanno dovuto arrendersi al decimonono principio della termostatidinamica: i ravioli incollati tra loro spesso sono come Romeo e Giulietta, restano uniti fino alla morte.

In buona sostanza, domenica ho mangiato i miei ravioli, che erano buoni. Conditi con sugo leggero di pomodoro e spolverati con una buona dose di autocritica mista ad umiltà ritrovata.

Che novità!

Torno su questo vecchio palcoscenico e scopro che per caricare la pagina che permette di scrivere un nuovo post, appare la scritta “beep beep boop”. Già questo mi sembra un dato rilevante e perciò degno di nota.

Non vi racconto nei dettagli cosa mi è successo durante questo anno e mezzo. Sarebbe superfluo perché chi leggeva il blog ora più o meno mi segue su Facebook. Non sempre repetita juvant e questo è uno di quei casi.

Eppure di cose nuove ne sono successe. Ad esempio ho un nuovo lavoro. Ora faccio l’investigatrice privata. Un lapsus calami mi aveva portata a scrivere “investigatrice PRIVA”. Questo aggettivo la dice lunga di come proceda la mia nuova attività, sulla quale per dovere di riservatezza professionale e personale non mi dilungherò.

Un’altra novità è rappresentata dal fatto che sono più vecchia di circa 18 mesi. Questo non mi piace e sembra non piaccia nemmeno a chi mi circonda. Insomma, il tempo che passa si vede, eccome se si vede. Soprattutto perché con gli anni aumentano anche i chili. Non posso dire che sia grassa…opulenta mi sembra il termine più appropriato per descrivere le mie tettone incombenti e la mia pancetta più che botticelliana. E’ chiaro che c’è ancora chi mi vede giovane e magra: quelli più grassi e più vecchi di me, in primo luogo. Quelli che sono obnubilati dall’affetto nei miei confronti in secondo luogo. Gli ipovedenti in terza posizione. Ultimi, per importanza e numero, quelli che ci provano, che sono sempre meno…a dimostrazione del fatto che sono invecchiata e ingrassata.

Poi…Poi…ho conosciuto un’amica. Detta così suona strano, ma è quello che è successo. Una conoscenza virtuale mi ha condotta ad un incontro reale con una donna solare e affettuosa, una scrittrice simpatica e sensibile con cui è stata…empatia a prima vista. Lei è Loredana Limone e siccome non ha ancora uno spazio su Wikipedia, ho taggato il link al suo ultimo romanzo, chissà mai che non la conosciate e non vi venga voglia di fare anche voi amicizia con lei…

E poi dopo…i vecchi amici restano amici. Questo mi dà sicurezza, nostalgia, senso del tempo, mai noia. Qualche persona si è allontanata, ma non dal mio cuore. Altre si sono avvicinate, raramente alla mia anima.

E ancora…il Lollo sta bene. Lolleggia e trolololla come sempre, anche oltre la soglia della maggiore età. Tanto per dire…or ora si è affacciato in soggiorno nudo come un verme, perché in procinto di fare la doccia, per mettere il cellulare in carica. Prima no, dopo no…durante è l’ideale. Del resto, quest’anno avrà gli esami di maturità perciò è ancora nel pieno diritto di comportarsi come un pischello immaturo. Vorrei che qualche volta, quando rivendica la sua indipendenza, se lo ricordasse pure lui. Vorrei vantarmi dei suo meriti a scuola ma non lo farò. Sia perché i panni puliti si stendono in famiglia. Sia perché lui potrebbe tirarmi lo stendino in testa se lo facessi.

Ooooh. E poi c’è il capitolo “vita sentimentale”. Fine (cit. Sio).

E poi…basta. Basta e avanza per ora. Questo è un post generico e spero non sporadico. Dipende tutto da me e dai che mi verrà voglia di comunicarvi. In genere compongo dei post meravigliosi nei cinque minuti che precedono il sonno e come accade ai più il mattino dopo li ho belli che dimenticati. Magari la prossima volta mi segno due appunti…